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Archivio Editoriale |
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Dal 25 aprile al 5 maggio sono stato in Brasile insieme al mio confratello don Giuseppe Calderone nella città di Salvador de Bahia e precisamente a Conde, un piccolo centro dove siamo stati accolti dalle suore di una missione italiana. In questo paese, straordinario per spirito e cultura, abbiamo avuto modo di fare la nostra esperienza con i bambini più poveri, i meninos de rua, che vivono in una casa famiglia. Anche se per poco tempo, abbiamo cercato in tutti i modi di sostenerli e soprattutto di aiutarli ad uscire fuori dalla situazione in cui si trovano perché per adesso vivono in una struttura fatiscente che non permette loro di avere servizi idonei a dare serenità alla loro delicata crescita. In progetto c'è l'obiettivo di migliorare la loro vita, comprando un terreno per costruire un'altra casa di accoglienza migliore. L'esperienza con questi bambini è stata per noi meravigliosa perché insieme ad un gruppo di italiani abbiamo condiviso la preghiera ed il servizio mettendo insieme tutte le nostre forze e vivendo tutto con molta naturalezza. La bellezza è stata proprio quella unione forte tra la vita quotidiana e quella spirituale. Ci siamo messi fraternamente in spirito di pieno servizio dandoci da fare in vario modo. I bambini ci hanno arricchito in maniera straordinaria con tutta la loro semplicità ed energica giovinezza. Dai loro sorrisi e dai loro occhi veniva fuori realmente il volto più bello di Gesù. Certamente le difficoltà di questi territori sono tante e ci siamo proposti insieme al gruppo italiano di non concludere la nostra esperienza con questo viaggio ma di trovare le strade per continuare a dare una mano a queste persone in vario modo. Per migliorare la loro situazione penso che potrebbe essere importante organizzare da Palermo anche dei gemellaggi professionali con le nostre comunità perché ci siamo accorti che a questi bambini mancano delle figure che potrebbero aiutarli a vivere in maniera serena la loro adolescenza e fanciullezza, recuperando per quanto possibile quelle ferite che si portano dietro. Credo fermamente che non dobbiamo chiuderci in noi stessi solo con i nostri bisogni e, anche se Palermo ha tanti problemi, abbiamo lo stesso il dovere di non chiudere gli occhi davanti a queste realtà, tanto distanti ma vicine se abbiamo la voglia di donarci. Sicuramente, ci sono le condizioni per un arricchimento reciproco di visioni culturali di vita e di chiesa diverse tra Palermo e questi centri brasiliani che vanno rispettate e da cui si può imparare tanto. La valorizzazione della diversità è sempre fonte significativa di crescita per tutti, perché ci rende aperti e pronti a migliorare il nostro cammino di cristiani sempre più autentici. La loro povertà è diversa dalla nostra da quella che per esempio conosco nel quartiere difficile di Palermo che è Falsomiele. Nei piccoli centri brasiliani che ho visitato, infatti, la gente vive in maniera diversa la propria condizione sociale anche a volte di miseria. Sono persone che non hanno niente o pochissimo ma la cosa straordinaria è che riescono a condurre lo stesso una vita serena e per quanto possibile dignitosa. Riescono, infatti, a convivere con un certo disagio che non li scoraggia ma gli fa sperimentare strade nuove in cui si adattano cercando di andare avanti. In Italia abbiamo invece un degrado dovuto prevalentemente a scelte economiche e politiche sbagliate che hanno fatto allargare la forbice tra ricchi e poveri. Anche a Falsomiele c'è una povertà molto diversa che in gran parte è anche culturale: percepiamo per esempio la sofferenza e l'insofferenza di famiglie e persone che vogliono sempre di più e facilmente, rincorrendo un falso benessere cadono nelle maglie della criminalità a tutti i livelli. Nella piccola realtà rurale brasiliana c'era gente che non aveva nulla ma riusciva lo stesso ad avere una tranquillità e una serenità e una pace che da noi sarebbe impensabile. Sicuramente da queste culture c'è da imparare tanto perché queste persone pur avendo poco o nulla condividono tutto e lo vivono con semplicità. Noi siamo invece sempre insoddisfatti e alla ricerca continua dell'avere sempre di più soprattutto a livello materiale. Nella cultura occidentale, siamo davanti ad una evidente povertà culturale dettata dalla ricerca del piacere e dal consumismo sfrenato. Notavo in Brasile che i bambini si divertono con poco e sono felici. Anche nelle famiglie occidentali si dovrebbe spostare la prospettiva ritornando a valorizzare e soprattutto le cose semplici. Il nostro povero si sente infelice perché vuole inseguire disperatamente degli standard di vita di altri che stanno meglio di lui. Ci si sente realizzati inseguendo una falsa sicurezza dettata solo dalla corsa ad un finto benessere che non è quello dello spirito ma quello della materia, dei beni da accumulare per essere uguali agli altri. In Brasile anche nelle celebrazioni religiose si manifesta la gioia molto autentica di un Gesù sempre risorto. Ricordo che ho vissuto, in particolare, diverse ore di adorazione con una processione insieme al vescovo che è stata una festa continua di amore e di gioia arricchita da canti, balli e danze. La gioia si trasmette in maniera molto forte tra le persone afro-brasiliane: c'è la proiezione in avanti, la speranza del risorto e la voglia di mettersi in cammino sempre e nonostante tutto. Se penso alle liturgie delle nostre chiese le percepisco troppo ingessate, spente e a volte tristi. Chiediamoci perché e quanto sforzo dobbiamo fare per renderle ancora più vere, gioiose e vitali. Certamente siamo davanti a culture diverse che vanno rispettare per storia e per natura ma possiamo fare di più anche noi, preti, laici e cittadini impegnati se ci sforziamo sia dentro che fuori la nostra chiesa di celebrare sempre la vita che scorre.
Don Sergio Mattaliano
ANNO 2016 «Migranti e rifugiati non sono pedine sulla scacchiera dell’umanità» Scrivo questa lettera in occasione del 20 giugno, giornata mondiale del rifugiato, per raccontarvi l’ accoglienza che la nostra Caritas diocesana con spirito di servizio e sentimenti di amicizia ha il grande privilegio di realizzare ogni giorno per i nostri fratelli migranti. Il 2014 si è configurato come un anno “nuovo” per la nostra diocesi e per la nostra Caritas, per la scelta di aprire le porte alla speranza e all’accoglienza di migliaia di persone che fuggono dalla morte, dalle persecuzioni, dalla fame, dai soprusi. Nuovo è l’aggettivo che qualifica questa esperienza, perché non avevamo avuto modo di sperimentarci in questo servizio nel passato, non essendo stata la nostra diocesi luogo di primo approdo, ma di destinazione dei migranti che ormai da molti decenni vivono con noi. Abbiamo intrapreso questa avventura, forse non ben consapevoli dell’epocale cambiamento sociopolitico che di li a breve ci avrebbe travolto con tutta la sua carica di umanità. Abbiamo detto si all’accorato, semplice, ma vigoroso appello del nostro Santo Padre, Papa Francesco, iniziando questa esperienza il 24 gennaio del 2014. Da allora, non ci siamo più sottratti alle richieste di aiuto “gridate” dai nostri fratelli e all’esigenza di collaborazione che le realtà istituzionali hanno richiesto, in primis, Prefettura e Questura di Palermo, con le quali si è consolidata una collaborazione proficua, contraddistinta dalla piena fiducia. La nostra presenza è stata costante e puntuale nei 18 sbarchi avvenuti a Palermo nel 2014 accogliendo circa 6000 migranti e negli ulteriori 8 del 2015, in cui abbiamo accolto ad oggi più di 3000 persone, donne, uomini,bambini,minori. Altrettanto impegnativa è stata l’accoglienza nei nostri centri, dove ad oggi sono state ospitate 3225 persone in forma residenziale. Al porto, il nostro compito continua ad essere legato al soddisfacimento dei bisogni primari. Forniamo cibo, acqua, scarpe, indumenti, coperte, generi alimentari e sanitari per bambini per tutti gli approdati, grazie al costante impegno di decine e decine d volontari. Per quanto concerne l’accoglienza nei centri, mi permetto di sottolineare che solo un numero di posti estremamente limitato è stato in convenzione, a fronte dei numeri citati. Il resto dell’accoglienza è avvenuto in locali che il nostro Arcivescovo,Sua Eminenza Paolo Romeo, ha prontamente affidato alla Caritas, quali centri pastorali di accoglienza, dunque fuori da qualsiasi forma di convenzione, per dare un segno concreto di aiuto cristiano. La comunità cristiana tutta, sollecitata e sensibilizzata ha aperto le porte delle chiese e delle parrocchie che sono diventate luoghi di conforto e di ospitalità, non ultima la parrocchia di San Gaetano, guidata nel passato dal Beato Padre Pino Puglisi. I banchi sono stati sostituiti dalle brandine e ai canti e alle preghiere note si sono aggiunte melodie, suoni e preghiere nuovi. Ulteriori strutture sono state locate da comunità religiose della diocesi. Altra emergenza tra le emergenze ha riguardato i Minori stranieri non accompagnati, per i quali si è resa necessaria l’attivazione di una struttura specifica, che ha accolto 28 minori per sette mesi. Tutto ciò a carico della Caritas diocesana. Inoltre, da settembre 2014, un gruppo di giovani migranti, richiedenti asilo politico, sbarcati a Palermo nel 2014, è stato preso in carico totalmente dalla Caritas.
Questi giovani hanno scelto Palermo quale luogo per ricominciare una vita nuova e nuove opportunità, e la Caritas insieme ad alcune famiglie li sta accompagnando verso importanti esperienze di integrazione socio-lavorativa. Alcuni di loro condividono un appartamento, sostenuto dalla Caritas, altri vivono presso la parrocchia da me guidata. La risposta della nostra diocesi è stata poderosa anche sotto l’aspetto del volontariato. Interi nuclei familiari hanno condiviso la scelta della Chiesa che accoglie il forestiero, arrivando a farsi carico del sostegno a distanza delle famiglie di alcuni giovani migranti. Sono state fatte delle collette ed inviato quanto raccolto nei Paesi di provenienza dei nostri giovani migranti, per aiutare i familiari rimasti nella povertà e nelle difficoltà. Non nascondo una profonda emozione per questi gesti che riempiono il cuore e danno segno e sostanza al nostro essere prossimi. Oggi, oltre 50 milioni di persone non ha più una casa, come l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite ha stimato. Noi abbiamo voluto dare l’esempio concreto di ospitalità, aprendo le porte delle Chiese, la “Casa di tutti”, aprendo il cuore e la mente alla prossimità. Questo rimane il nostro impegno, concreto nell’accoglienza, ma anche ragionato a livello politico. Per questa ragione ogni anno, Caritas Italiana organizza Migramed Meeting, un incontro tra Caritas Italiana, appunto, le Caritas europee e del bacino del mediterraneo. In questa settimana, ci siamo ritrovati a Tunisi insieme a rappresentanti del governo italiano e tunisino per ragionare non solo sul livello dell’emergenza, ma anche delle politiche di sostegno alle Nazioni in via di sviluppo od oppresse da problemi sociopolitici. Una maggiore collaborazione internazionale è la prospettiva verso cui la Chiesa tende per sostenere il reciproco aiuto tra la nazioni, memori sempre, come Papa Francesco ci ha ricordato che i “Migranti e rifugiati non sono pedine sulla scacchiera dell’umanità”.
Don Sergio Mattaliano
ANNO 2015 «Incontro e solidarietà cristiana, così si può combattere la povertà» "Sentirsi amati in tempo di Pasqua" Cari fratelli, Pace e integrazione, italiani e stranieri in un percorso di crescita comune Carissimi, ANNO 2014 Il Natale nella pace e nell'incontro con l'altro Un impegno sincero e concreto contro l'Aids In occasione della Giornata Mondiale contro l’AIDS, che ricorre l'1 dicembre, la Caritas diocesana di Palermo intende esprimere un impegno sincero e concreto di lotta contro l’AIDS.
«La Caritas in cammino insieme a tutti voi» Carissimi amici e confratelli,
«I nostri 9 mesi a fianco dei più deboli » In questi nove mesi la prima accoglienza dei nostri fratelli migranti è stato l’impegno centrale della Caritas di Palermo. Secondo i dati forniti dalla prefettura, dal mese di gennaio ad oggi, in città sono avvenuti 17 sbarchi con un flusso di accoglienza complessiva al porto di 5.795 persone. Di questi migranti, la Caritas ne ha accolto per alcuni giorni 3500, rispondendo, anche, a tutti i bisogni sanitari e materiali. Inoltre, devono aggiungersi almeno 600 persone, tra siriani e palestinesi, a cui prima di proseguire il viaggio, per alcune ore, è stata data loro la possibilità di rifocillarsi e cambiarsi. Occorre, però, fare un passo indietro per capire come è nato il nostro impegno. A seguito, infatti, della tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013, proprio qualche giorno prima, fui nominato direttore della Caritas. La mia esperienza in Caritas, dunque, è iniziata così. A dicembre scorso, poi, la Caritas Italiana ci ha chiesto di ospitare temporaneamente alcuni migranti provenienti da un centro di accoglienza di Messina. A gennaio, così, decidemmo di aderire alla rete dei Cas e di creare un centro di accoglienza maschile, al Punto Incontro Giovani nella struttura di padre Messina, e un secondo destinato a donne e bambini accompagnati dalle mamme, che è appunto il Centro San Carlo e Santa Rosalia. L’accoglienza dei migranti è un’esperienza che ci impegna molto ma che ci permette anche di uscire da certi ‘parametri ingessati’, per usare le parole di Papa Francesco, e di far emergere la multiculturalità della Chiesa Cattolica. A guidare il centro è adesso uno spirito di rinnovamento che il Signore vuole e che il Vangelo predica. Senza lo spirito cristiano del rinnovamento, l’accoglienza rischia di diventare solo un mero servizio. Abbiamo visto sbarcare molti africani e interi gruppi familiari in prevalenza siriani e palestinesi. Tutte persone con storie e sofferenze diverse a cui abbiamo dato il primo ristoro fondamentale per potere proseguire il loro viaggio verso i paesi del nord Europa. Abbiamo accolto, insieme ai loro genitori, moltissimi bambini che hanno richiesto un’attenzione particolare, perché provenienti da territori in cui la guerra fa da padrona e già da piccoli hanno dovuto assistere a scene violente o a patire la fame. Per alcuni di loro ci siamo attivati anche per il sostegno primario con l’ausilio dei nostri mediatori culturali. Tutto questo per noi, operatori e volontari, è stato, e continua ad essere ogni giorno, un grande motivo di arricchimento umano e spirituale. In questi mesi, abbiamo avuto molti volontari in Caritas, sia di Palermo che provenienti da diverse parti d’Italia, desiderosi di donarsi mettendo a disposizione tutti i loro strumenti culturali e sociali. Inoltre, anche alcuni migranti africani hanno chiesto di dare il loro contributo da volontari nella comunità, aiutandoci nello svolgimento di piccoli servizi. Questa è una bellissima testimonianza di come si siano innescate pure catene di autentica solidarietà e integrazione. Un grazie speciale va, pure, ai palermitani e a tutti gli italiani che nei momenti di maggiore bisogno hanno dato prova di grande generosità sia con aiuti economici che con aiuti materiali. Un'altra esperienza straordinaria, senz’altro da ricordare, è stata quando, in occasione degli sbarchi di giugno, in accordo con la Curia, abbiamo aperto tre chiese per ospitarli in emergenza perché gli altri centri erano saturi: le chiese di San Carlo, Santo Curato d’Ars di Falsomiele e San Gaetano di Brancaccio. La gente di questi quartieri popolari ha dato un sostegno meraviglioso. In quell’occasione abbiamo avuto anche giornalisti di testate giornalistiche straniere: francesi, inglesi e spagnoli che si sono interessati a noi. Ricordo con grande piacere, in occasione, anche, della giornata del rifugiato il momento di preghiera ecumenica insieme all’Imam per le vittime del mare nella chiesa di S. G. M. Vianney di Falsomiele dove era sorto un vero e proprio ‘villaggio della solidarietà’. Un altro esempio di grande fratellanza è la squadra di calcio multietnica di alcuni africani che si è formata per divertirsi e allontanare i ricordi della Libia e dei soccorsi in mare. Il calcio è diventato uno sport che ha aggregato popoli di razze diverse del continente africano: ventiquattro migranti, infatti, accolti nei nostri centri di accoglienza hanno dato vita a una squadra di calcio, la “San Curato d’Ars. Sono tutti giovanissimi e provengono tutti da paesi africani diversi: Gambia, Senegal, Ghana, Costa d’Avorio, Mali e Benin. Infine, tra le storie, mi piace anche citare quella di una ragazza eritrea, S. con un bimbo partorito in Libia che è arrivato con lei a Palermo. La ragazza, che si trova dallo scorso 13 maggio in uno dei nostri centri, arrivata fortemente traumatizzata, è stata per lungo tempo senza parlare tanto che alcuni pensavano che non si potesse recuperare. Adesso, invece, con l’aiuto nostro, di tutti gli operatori e della mediatrice culturale, la giovane è come se fosse rinata, ha ripreso a parlare riuscendo anche a potere vedere suo figlio. Tutte queste esperienze ci stanno insegnando cosa significa donarsi profondamente e concretamente a coloro che hanno meno di noi. Papa Francesco parla di periferie esistenziali e una di queste è proprio il dramma che vivono questi nostri amici stranieri che subiscono situazioni molto brutte in Libia. Accoglienza allora prima di tutto al di là delle discussioni politiche. "Rispondiamo in maniera autentica alle povertà" I poveri sono i co-protagonisti del Vangelo e ne rappresentano il cuore quando diventano per Gesù il modello cui tendere per imitarlo, proposto dal Maestro stesso nelle beatitudini. «Per i migranti di più» di Don Sergio Mattaliano
Aiutiamo tutti insieme i nostri fratelli più fragili
di Don Sergio Mattaliano Il tema dell’immigrazione è certamente una realtà molto delicata, considerato che abbraccia non soltanto la sfera religiosa e dunque la comunità ecclesiale ma anche la dimensione socio-politica nella sua necessaria struttura etico-morale. Pensare, infatti, ad una società “spoliticizzata” ci farebbe assistere ad uno scenario sociale drammatico se non disumano. ANNO 2012
Al Primo Posto la Carità Se “la più grande di tutte è la carità” (più della fede e della speranza), se il primo comandamento è quello della carità verso Dio a cui è strettamente connesso l’amore del prossimo, se la fede si comprova dalla carità per cui non ci può essere fede senza carità, se alla sera della nostra vita saremo giudicati sull’amore, allora alla carità spetta il primato. Esiste una dimensione personale dell’esistenza informata dalla carità: è un atto di amore totale verso Dio (amarlo con tutto il cuore, con tutte le forze, con tutta la volontà); ed esiste una dimensione comunitaria e sociale della carità: è relativa al comando del Signore ”amatevi gli uni gli altri” e all’avvertimento dello stesso signore “qualunque cosa avete fatto a uno di questi fratelli più piccoli l’avete fatto a me”. Da ciò deriva che la diaconia (il servizio autentico e disinteressato, ogni forma di servizio volontario o sacramentale o ministeriale) è la dimensione strutturante della persona umana, della vita del cristiano e della testimonianza della Chiesa. La dimensione etica della carità, poi, è indirizzata alla politica, cioè alla promozione del bene comune; l’esercizio della politica è una forma alta della carità. Esiste anche una dimensione etica della carità che è indirizzata alla ricerca intellettuale della verità e che non può essere disgiunta dalla ricerca affettiva della verità, per cui veramente si congiungono non solo ragione e fede, ma anche fede e carità. La dimensione teologale della carità è l’esperienza che la creatura può fare di Dio stesso che è l’Amore: ciò avviene quando si sperimenta l’elezione divina che modella la sua creatura e la abilita ad essere presenza di amore nel mondo, come a dire, presenza di quel roveto ardente che mai si consuma e che brilla nel deserto e nel buio del mondo e che riempie di calore le relazioni umane, che resterebbero fredde e superficiali senza la carità teologale. Il vero dramma, che a volte si consuma in tragedia, è che esistono diffusi modelli antropologici che escludono teoricamente l’etica o la virtù della carità; e quello che è peggio, esistono modelli di vita cristiana personale e comunitaria che, pure affermandola teoricamente, la negano esistenzialmente. Che dire di tante esistenze centrate narcisisticamente sul proprio ego, dove tutta la vita è costruita sul culto dell’idolo di creta del proprio io, al quale sono assoggettati gli altri nelle forme più devianti di schiavitù. Anche l’esercizio della politica, come pure l’esercizio del potere e della stessa autorità, possono essere tarlati dall’interesse personale e dallo spirito carrieristico. Ma quello che peggio è che ciò può annidarsi nella vita del discepoli del Signore come anche nella vita della comunità cristiana. Anche le stesse istituzioni ecclesiastiche possono essere contagiate o corrose da questo spirito mondano che di fatto toglie il primato alla carità. Anzi può verificarsi a volte che questo stile di vita mondano che esclude la carità non si sia proprio “annidato”, nel senso di rimanere nascosto tra i rami dell’albero, ma che sia invece talmente entrato nel tessuto dell’anima fino al punto da essere ostentato spudoratamente. Ma quando si arriva a ciò siamo al punto di rottura, siamo al punto della violazione del patto di alleanza. Quando ciò si verifica si scuotono le fondamenta, siamo al punto del terremoto etico e spirituale della coscienza. Questo nostro tempo è tempo di grazia per ricostruire la coscienza dell’uomo informata dalla carità, ed è ancora tempo per la ricostruzione della vita della Chiesa perché stia sotto il primato della Carità.
È ora tempo di fare risplendere il carisma originario di Puglisi
Puglisi e Brancaccio. Un prete e un quartiere di Palermo. Una morte per opera della mafia. Un territorio che ancora attende di essere liberato. Come tanti altri. Ma non un prete come tanti altri. Se il martirio è un Dono che viene dato da Dio, solo al prete Puglisi è stato donato. Ci chiediamo: a quale scopo, perché, per chi? Certamente per la sua Brancaccio, per la nostra città, per la nostra Chiesa di Palermo, per tutta la Chiesa e per il mondo intero. Ma un dono viene accolto e fatto fruttificare. E se sempre il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani (Tertulliano), il sangue del martire Puglisi è seme di veri cristiani. In un contesto di diffusione del cristianesimo, la testimonianza dei martiri ha avuto l’effetto di favorire la conversione dei pagani ad discepolato di Cristo; in un contesto di cristianesimo diffuso nella quasi totalità della popolazione battezzata, il sangue del martire Puglisi richiama al rafforzamento di un fede debole, al consolidamento di una fede vacillante, alla veridicità di una fede non autentica. Il sangue di Puglisi per Brancaccio, per tutta la nostra città, per tutta la nostra Chiesa particolare, per il suo Presbiterio, per il Laicato, per i Giovani, per le Periferie tormentate della nostra Città. Ci chiediamo: il prossimo Beato Puglisi, sacerdote e martire, come lo abbiamo accolto? Come stiamo valorizzando il suo sacrificio? Prossimi ormai alla commemorazione del 19° anniversario del suo martirio (15 settembre 2012), protesi a celebrare l’anno delle fede sotto la guida della santità di Puglisi durante quest’anno che ci porterà al ventennale della sua morte, ci chiediamo: come siamo cambiati come città (e Brancaccio dentro la città), come Chiesa palermitana (Laici e Presbiteri, Famiglie e Giovani)? Che cosa è cambiato in meglio rispetto alla morsa della mafia che continua ad opprimerci, rispetto alla vivibilità della nostra città e dei suoi quartieri, rispetto alla prossimità ai poveri, all’accompagnamento dei giovani, al loro orientamento vocazionale? Forse una riflessione più approfondita dobbiamo farla. Cosa non ha funzionato nel Clero palermitano, che avrebbe potuto più coralmente stringersi all’esemplarità di un suo presbitero, che avrebbe potuto meglio guardarlo come a testimone della carità pastorale di Gesù stesso? Perché ancora non ci hanno attratto il suo stile di semplicità, la sua mitezza d’animo, la sua piena disponibilità all’ascolto dei giovani e dei poveri, il suo andare per le stradine della sua borgata per entrare nei tuguri della povera gente, il suo ancoraggio alla Parola che lo faceva essere Profeta coraggioso di fronte al Male, il suo testimoniare il Vangelo battendosi per la promozione umana e culturale dei piccoli, il suo distacco dalla politica sporca che non riuscì mai a condizionarlo perché non cedette mai alla tentazione del denaro? Forse è qui la chiave di lettura che ci ha fatto stare distanti da ciò che egli aveva pensato in modo diverso. Egli non aveva mai pensato che il suo “Padre nostro” dovesse omologarsi a una onlus qualsiasi, non aveva mai cercato né mai avrebbe accettato finanziamenti pubblici che avrebbero spento la sua carica profetica nel denunciare le ingiustizie senza cercare alleanze con i potenti, non avrebbe mai accettato di fare il consulente per i problemi sociali in nessuna forma di amministrazione regionale e comunale. È qui che abbiamo sbagliato, è qui che dobbiamo intervenire, è questo altro sistema lontano dallo spirito di Puglisi e che invece ha avuto ampio spazio in questi quasi venti anni che dobbiamo rinnegare. Sì, il martirio di Puglisi ci chiede un atto coraggioso di rinnegamento di questo passato, per fare rifiorire lo stile pastorale di Puglisi, la presenza amorevole della comunità parrocchiale. Ed è in questa direzione che vorremo lavorare: dare alla Parrocchia di Brancaccio e all’intero territorio pastorale di Sperone-Brancaccio un forte sostegno per qualificare nuovi operatori pastorali capaci di animare e testimoniare la carità, capaci di ascolto profondo delle persone e dei giovani, capaci di lettura sapienziale dei bisogni del territorio per dar vita ad opere segno che siano capaci di testimoniare la presenza di un Puglisi vivo ancora oggi. È il momento di formare e accompagnare volontari nuovi per evangelizzare il Regno di Dio nell’amore e nella verità.
Anno della fede, anno della carità
Benedetto XVI ha indetto un Anno della fede nel 50° Anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. Avrà inizio l’11 ottobre 2012 e si concluderà il 24 novembre 2013, solennità di Cristo Re. Per la chiesa di Palermo ciò significherà che l’annuale commemorazione della barbara uccisione di Pino Puglisi (15 settembre 1993) e il successivo convegno pastorale avranno una necessaria connotazione collegata all’anno della fede. Non ci sarà migliore stimolo a vivere l’anno della fede che considerarlo un anno illuminato dalla fede martiriale di Pino Puglisi di cui ricorderemo il 20° anniversario della morte nel settembre 2013. Un altro evento potrà accompagnare il nostro cammino che è particolarmente legato alla missione di carità che ha animato la nostra Caritas Diocesana, che proprio a partire dal 15 luglio 2012 si prepara a vivere l’anno del suo quarantennale di vita, essendo stata eretta dal Cardinale Pappalardo il 15 luglio 1973. Sono ambedue eventi di vita ecclesiale che bene si inscrivono nel vissuto del rinnovamento postconciliare nella nostra Diocesi. La vita presbiterale e ministeriale di Puglisi è incarnazione del rinnovamento voluto dal Concilio per i suoi presbiteri e auspicato nella Presbyterorum Ordinis, ma anche nell’ecclesiologia di comunione di una Chiesa tutta ministeriale della Lumen gentium, e ancora dell’impegno educativo dei giovani auspicato dalla Gravissimum educationis e dell’Optatamtotius per la formazione dei futuri presbiteri. La costituzione della Caritas è frutto maturo dell’ecclesiologia di comunione e di missione del Vaticano II, che nella costituzione pastorale Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo ha fatto sintesi del precedente magistero sociale dalla Rerum Novarum di Leone XIII, e da cui si è sviluppato lo splendido magistero sociale della Chiesa fino alla Caritas in veritate di Benedetto XVI. La Caritas, volendo testimoniare la carità di Cristo ma non senza un impegno di promozione della giustizia, ha radicato il suo servizio pastorale orientandolo alla promozione umana e dei suoi diritti, supportandolo con il principio del bene comune, e sottolineando in modo particolare il principio della destinazione universale dei beni e l’opzione preferenziale di poveri. La via della carità, inoltre, non può essere percorsa senza intrecciare tra loro i principi sociali della sussidiarietà e della solidarietà. È fondamentale sottolineare quanto Benedetto XVI ricorda nella Lettera apostolica Porta fidei con la quale viene indetto l’Anno della fede, e cioè che è l’amore di Cristo che colma i nostri cuori e ci spinge a evangelizzare (n. 7). C’è un nesso inscindibile tra l’impegno della nuova evangelizzazione per gli uomini e le donne del Terzo Millennio e la vita di testimonianza della carità, per cui l’annuncio del Vangelo è opera della Scrive lo stesso Pappalardo nella Lettera alla Comunità ecclesiale per l’animazione della carità nel 1984: «La Missione di Palermo va vista come un’espressione della sensibilità e operatività della Chiesa palermitana che, dinanzi agli immensi bisogni di promozione umana emergenti negli ambienti depressi della nostra città, vuol venire loro incontro con una azione globale, non di mera assistenza ma di stimolo e di incoraggiamento per un cammino di elevazione sociale e di progresso civile della popolazione». A Palazzo le aquile volino alte, per sollevare Palermo
Un interrogativo nella prossimità delle prossime elezioni amministrative della nostra Città. È possibile coniugare il tema del governo della città al tema della forte esigenza che avvertiamo tutti di fare spazio alla dimensione etica nella politica e nell’amministrazione della cosa pubblica. Ancora più specificamente il desiderio è quello di enucleare alcuni temi sensibili che non possono mancare nelle istanze etiche di ogni governo, e che necessariamente hanno diritto di cittadinanza nel confronto dialettico delle parti. Tra tutti i temi sensibili invitiamo a rivolgere luna particolare attenzione su alcuni: diritti sociali, nuove povertà, lavoro, ambiente, legalità. Sono certamente più ampi e più specifici gli ambiti di riflessione che la comunità civile ed ecclesiale può fare emergere. Abbiamo ascoltato la variegata e analitica analisi che i candidati a sindaco della nostra città rispetto alle loro collocazioni politiche, alla loro esperienza amministrativa, alla loro sensibilità sociale, alla loro percezione del livello di degrado generale nel quale versa la nostra città e dalla quale ognuno si propone di liberarla secondo più o meno definiti programmi di governo. Agenda pastorale sociale e servizio di carità verso il mondo giovanile
Fin dall’inizio di questo anno il santo Padre Benedetto XVI ci ha invitato a rivolgere la nostra attenzione al mondo dei giovani dedicando il Messaggio per la Giornata mondiale della pace al tema dell’educare i giovani alla giustizia e alla pace. “ Le preoccupazioni manifestate da molti giovani in questi ultimi tempi, in varie Regioni del mondo, esprimono il desiderio di poter guardare con speranza fondata verso il futuro. Nel momento presente sono molti gli aspetti che essi vivono con apprensione: il desiderio di ricevere una formazione che li prepari in modo più profondo ad affrontare la realtà, la difficoltà a formare una famiglia e a trovare un posto stabile di lavoro, l’effettiva capacità di contribuire al mondo della politica e dell’economia per la costruzione di una società dal volto più umano e solidale”. Benedetto XVI si appella direttamente ai giovani: “Non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento di fronte alle difficoltà e non abbandonatevi a false soluzioni… Non abbiate paura di impegnarvi…”. Ancora nel nuovo Messaggio per la Quaresima 2012 “Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone” (Eb 10, 24) offre particolari spunti per interrogarci sulla nostra capacità di essere prossimi alle problematiche del mondo giovanile e in particolare ai giovani come persone. “L’attenzione all’altro comporta desiderare per lui o per lei il bene, sotto tutti gli aspetti: fisico, morale e spirituale”. Queste sollecitazioni del magistero pontificio illuminano il nostra cammino di Chiesa particolare che si è dato l’impegno di “educare i giovani alla fede”. Noi ci chiediamo: “come possiamo in modo sinergico educare alla fede mediante la carità?”. Quali sono le sfide del mondo giovanile che maggiormente interpellano la Chiesa e che rappresentano i nodi problematici che dobbiamo sapere sciogliere per non fallire nel nostro farci prossimi al mondo giovanile? Una Chiesa particolare, una parrocchia, un vicariato quali obiettivi dovrebbe prefiggersi, quali strategie pastorali dovrebbe mettere in opera, quali temi sensibili dovrebbe mettere a fuoco, per significare pienamente un empatico atteggiamento di ricerca e di condivisione partecipata? È importane che nella vita del giovane si realizzi la verità molto cara a Benedetto XVI, e cioè che Cristo nulla ti toglie ma tutto ti dona. Mi chiedo se i nostri cammini di fede offerti ai giovani possano lasciare fuori i loro interessi, le loro frustrazioni, i loro insuccessi, il loro tempo, nello studio o nello svago, il loro lavoro o la mancanza di esso, la loro vita sociale e la loro partecipazione politica, la loro sessualità e le loro prospettive di famiglia. Credo che sia urgente declinare alcuni temi che hanno pieno diritto di cittadinanza in una agenda pastorale attenta ai temi sociali che interpellano soprattutto il mondo giovanile. Alcuni di questi, ma non i soli, possono essere: la bellezza e l’ambiguità della comunicazione in internet, lo svago e il tempo libero nel tempo della notte e nello spazio della città, la verità ingannevole sul gioco di azzardo, la ricerca del lavoro e l’impresa sociale possibile, la relazione di prossimità e il volontariato a servizio delle persone fragili, il valore della paternità e della maternità nel vissuto di una sessualità senza ipocrisia, lo sfruttamento sessuale della donna e la clientela giovanile, il desiderio di libertà e il rischio di cadere in nuove forme di dipendenze patologiche, l’inquinamento della politica e il desiderio di potere partecipare alla costruzione di una società più bella, apertura all’intercultura e al dialogo interreligioso con i giovani stranieri… Alcune attenzioni che la nostra Caritas sta coltivando in questi anni vanno in questa direzione: percorsi formativi e di accompagnamento del volontariato giovanile, sviluppo del progetto Policoro per la formazione dei giovani alla creazione di impresa sociale con attivazione di due cooperative sociali giovanili e apertura di altri tre Centri di animazione territoriale (Istituto P. Messina, Bagheria e Termini Imerese) , incremento dei punti di ascolto per le dipendenze patologiche al Centro Agape e al Punto Incontro Giovani di P. Messina, offerta di formazione per operatori di oratori parrocchiali e della pastorale di strada, accompagnamento di minori del circuito panale in forme di esperienze valoriali forti, testimonianza di prossimità a giovani disabili e con problemi di disagio psichico, creazione del Centro di educazione ambientale S. Francesco nel V Vicariato per ragazzi e giovani delle scuole e delle associazioni, creazione degli eventi Palermondo e Oratoriadi centrati sulla integrazione di giovani locali e immigrati, azione di sensibilizzazione al tema della tratta di donne vittime di sfruttamento sessuale attraverso la lettera ai clienti... Nella nostra Chiesa ci sono interessanti proposte rivolte al mondo giovanile provenienti da diverse direzioni. Tra tutte voglio citare quella dell’Istituto Pedro Arrupe rivolta all’offerta di percorsi di formazione sociale e politica sia residenziale che sul territorio. Questo periodico Se ognuno fa qualcosa, con l’aiuto di tutti e in sintonia con lo spirito di carità che animò P. Pino Puglisi nel servizio dei giovani, intende testimoniare la ricca presenza di servizi pastorali offerti al mondo giovanile. Perché non provare a condividere insieme un’ipotesi di agenda pastorale sociale a servizio del mondo giovanile? ANNO 2011 Fate sentire il calore di Dio Il Discorso del S. Padre Benedetto XVI alla Caritas Italiana nel 40° di Fondazione, pronunciato nella Basilica Vaticana il 24 novembre 2011, è destinato ad assolvere al compito importante di indirizzare la Chiesa italiana nel prossimo decennio. Il Santo Padre ha offerto una autorevole sintesi di ciò che la Caritas ha significato in questi quattro decenni, e nello stesso tempo ha dato degli orientamenti per quanto dovrà ancora continuare a testimoniare nel prossimo decennio. Tutto l’impianto del Discorso diventa per ogni Caritas diocesana un punto di riferimento importante per l’animazione della pastorale della carità nei diversi territori della Chiesa italiana. La nostra Caritas diocesana, in modo particolare, intende assumerlo da subito nella sua ricchezza di orientamento pastorale per vivere nel nostro territorio diocesano il prossimo tempo di avvicinamento alla celebrazione del 40° anniversario della sua costituzione. Il compianto cardinale Pappalardo. dopo un necessario tempo di studio delle indicazioni del Servo di Dio Paolo Vi e delle successive deliberazioni della Conferenza Episcopale Italiana, volle erigere la Caritas Diocesana di Palermo fin dal 15 luglio 1973. È questa infatti la data verso la quale siamo orientati a rivolgere la nostra attenzione, perché questo tempo che ci separa da essa possa essere utilizzato nel modo migliore per questo importante evento. Questo certo dovrà essere celebrativo di una memoria, ma soprattutto dovrà essere l’occasione per fecondarla di profezia per la sua crescita spirituale e pastorale di tutta la comunità ecclesiale, e per una più condivisa testimonianza comunitaria della carità. È TEMPO DI RICOSTRUIRE QUESTA SOCIETÀ IN CARITÀ E VERITÀ TEMPO DI AVVENTO E DI NATALE: TEMPO DI RITORNO ALLE SORGENTI Ed è subito Avvento. Ed è presto Natale. È sempre attesa di Redenzione, anzi è desiderio cocente di sentire forte l’abbraccio del Redentore. Egli è sempre vicino, ma se noi gli stiamo lontano non sentiamo la sua presenza. È A causa di questa nostra lontananza dal Mistero e della nostra incorreggibile dimenticanza della sua Presenza che ritorna l’Avvento, perché ne sentiamo tutta la struggente bellezza. Ritorna il Natale perché ne assaporiamo la sua ineffabile gioia. Perché l’Avvento è bello? Perché il Natale è gioioso anche in tempo di crisi? Chiediamoci. In fondo, questa nostra storia immersa nel buio della crisi non sperimenta tutta la drammaticità della sua condizione a motivo del fatto che stiamo consumando questa lontananza e questa dimenticanza di un Dio vicino? Farci prossimi al Natale e fare memoria della presenza di Dio nella storia significa ritornare alle sorgenti, cioè al tempo nel quale Dio facendosi piccolo e povero volle scrivere un patto con l’umanità. Dio vuole gustare sempre la gioia di ciò che è semplice, che non crea distanze tra gli uomini, che li rende amici, solidali e fratelli. Perché la crisi dell’uomo di oggi? Perché si è chiuso nella sua autosufficienza, perché è diventato un essere solitario, perché si è affidato a ciò che appare grande e potente, perché ha creduto che il suo bisogno spirituale potesse essere soddisfatto da risposte materiali, perché ha perso di vista l’Eterno e si è immerso nel caduco, perché non si è fidato dell’Amore che viene da Dio e lo ha sostituito con l’amore che viene dall’uomo. Ci siamo riempiti di cose; la stessa tecnologia ha creato sempre nuovi bisogni; il mercato si è sbizzarrito a trovare nuove soluzioni alla nostra sete di possedere e consumare sempre di più; abbiamo accorciato i tempi della comunicazione restringendola nello spazio virtuale e sacrificando in questo modo la profondità della relazione vera. Stiamo consumando il nostro tempo con le sue giornate monotone senza sapere più vivere il tempo dal di dentro, divenuti ormai incapaci di non subire i condizionamenti esterni. Ci siamo riempiti noi stessi di tanti problemi. Adesso ci stiamo accorgendo che si sono sbriciolate quelle che abbiamo considerato certezze granitiche: il conto in banca, il lavoro sicuro, gli amici fidati, la famiglia … Tutto è rientrato nella fragilità. Ma adesso che tremano le fondamenta, che facciamo? Ma se crollano le fondamenta costruite sulla sabbiamo, siamo chiamati ad affondare solidi pilastri sulla roccia, sulla bellezza della fede in Gesù nostro unico Salvatore. Egli indica lo stile della sobrietà, dell’essenzialità, della povertà, del silenzio, dell’apertura cordiale e fraterna all’altro, del saper vivere abbandonandoci alla Provvidenza paterna del Padre, che ancora oggi fa sorgere il sole sopra i buoni e sopra i cattivi, che nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli dei campi. E necessario ripartire dalla povertà di Dio, per potere fare come Chiesa l’opzione preferenziale dei poveri, per mettere in comune i nostri beni, perché nessuno sia nel bisogno. È necessario annunciare con più chiara testimonianza che i beni della terra vanno redistribuiti con giustizia, cioè con equità. Il Natale di quest’anno sarà capace di accogliere e contribuire a costruire un futuro di speranza dopo avere quasi toccato il baratro della recessione? Ognuno deve fare la sua parte, i sacrifici vanno condivisi da tutti, chi ha di più sia disposto a dare di più a vantaggio di chi è stato finora impoverito da scelte di ingiustizia. Saremo capaci di esprimere coesione sociale in questo momento nel quale non è più consentito creare divisioni e scissioni? Siamo capaci di dare al Natale di quest’anno questo compito di facilitare la conversione del cuore per concorrere tutti al rinnovamento della nostra Comunità e al necessario cambiamento per dare ali alla speranza. Penso che ciò sia possibile. Siamo chiamati a ricostruire l’uomo e la società in carità e verità. Educare i giovani alla fede con Alcuni eventi ecclesiali di questa estate appena trascorsa hanno orientato la nostra attenzione su alcune tematiche che la Chiesa e il mondo ecclesiale hanno particolarmente privilegiato. Ha avuto certamente maggiore impatto mediatico a livello internazionale la madrilena Giornata Mondiale della Gioventù ispirata al testo paolino “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” con l’annuncio della prossima Giornata del 2013 in Brasile a Rio de Janeiro. Ma non possiamo trascurare la XXXII edizione del Meeting di Rimini di CL con il titolo “E l’esistenza diventa una immensa certezza”, che ormai è divenuto un appuntamento di rilevanza sociale di primo ordine per gli argomenti di attualità che riesce ad approfondire con evidente spessore culturale. In un contesto più generale e più di livello intraecclesiale si collocano la 60° Settimana liturgica nazionale di Barletta “Celebrare la misericordia. Lasciatevi riconciliare con Dio.” e l’ormai incipiente XXV Congresso Eucaristico nazionale di Ancora- In cammino lungo il sentiero dell’«educare i giovani alla fede» Lo Spirito animatore di carità
La Pentecoste rinnova i segni della presenza dello Spirito nella Chiesa e nel mondo. L’animazione e la testimonianza della carità sono opera dello Spirito. Anche questo nostro tempo ha bisogno di sapere riconoscere l’impronta dello Spirito per poterne seguire le orme, ha bisogno di sapere leggere quanto lo Spirito continua a scrivere di meraviglioso nella vita dei nostri contemporanei. Egli continua a rivelarsi nell’uomo come sua opera posta al vertice del Creato, e continua a parlare ancora “per scripturas”, e quindi attraverso ciò che è scritto in interiore homine. Ma il meraviglioso nel creato e nell’uomo ha bisogno di essere decifrato e semplificato, perché solo l’uomo vivente può dare gloria a Dio. Ci sono dei gemiti dello Spirito inenarrabili, arcani e misteriosi, ma così sublimi, che richiedono attenzione, sensibilità, partecipazione. Si richiede una permanente disponibilità al loro ascolto per farli echeggiare in sinfonia melodica e armoniosa attraverso le opere dell’amore prodotte dalla fantasia della carità. Sono come i gemiti di partoriente che manifestano sofferenza, ma che preludono alla vita nuova e radiosa ricolma di giubilo. Come nel grembo di una madre viene intessuto il prezioso ricamo della vita della creatura, così nella storia si intessono eventi feriali nei quali bisogna sapere rintracciare i desideri dell’Assoluto mentre consumiamo i fragili frammenti del relativo. E ciò nella vita pubblica e privata, nella vita della comunità ecclesiale e nella vita della comunità civile, nella vita delle nuove generazioni e nella vita degli anziani, negli aeropaghi della cultura e della politica, nei tuguri dei poveri e nei palazzi dei nobili, negli anfratti della storia e sui palcoscenici dei media, nel tormento del peccatore e nell’estasi del santo. E’ sempre lo stesso Spirito che spira nelle narici di ogni creta che diventa uomo, di ogni materia informe che diventa essere vivente, di ogni massa caotica perché si trasformi in armonia del cosmo, di ogni carne duplice perché si amalgami in una carne unica, di ogni membro slegato perché si compatti nell’unità di un solo corpo, di ogni confusione di lingue perché diventino un unico cantico che si innalza dai viventi al Vivente. Lo Spirito accompagna l’uomo nell’esodo dalla solitudine alla compagnia solidale, dal labirinto delle situazioni aggrovigliate alla semplificazione ancorata alla roccia di ciò che solo basta all’uomo, dal materialismo libidinoso dell’avere che ingombra all’esperienza del gusto della bellezza dell’essere che è sempre liberante, dal turbinio del fracasso di una vita tumultuosa e scomposta alla pace dell’anima nel silenzio che parla dentro le profondità del cuore, dal delirio di onnipotenza che calpesta la dignità della persona alla consapevolezza che della propria vita bisogna farne un dono in umile fraternità, dalla caduta nei baratri delle violenze che producono morte all’intraprendere sentieri diritti di giustizia e di riconciliazione che producono pace. Siamo sollecitati a fare il nostro cammino di carità lungo il sentiero dell’«educare i giovani alla fede» con un forte radicamento nella Parola di Sapienza e attorno al Convivio dell’Eucaristia, nella piena consapevolezza che non possiamo abbandonare la via della sequela, perché solo il Signore ha parole di vita eterna. L’assunzione della responsabilità di “educare i giovani alla fede”, nello stile di Puglisi, comporta attraversare il mondo giovanile facendoci compagni di viaggio da testimoni capaci di costruire prossimità e solidarietà. Testimoniare prossimità significa capacità di incrociare le fatiche e le preoccupazioni dei giovani che non hanno lavoro e che sono costretti ad andare via dalla nostra terra, creando nuove opportunità lavorative a partire dalla promozione di una creativa cultura di impresa, offrire tutta la molteplicità dei nostri servizi alla promozione della persona al mondo universitario e dei giovani laureati per tirocini formativi, promuovere e sostenere percorsi formativi ed esperienziali per il volontariato come espressione di gratuità nello spirito dell’offerta del dono di sé. Siamo pronti ad accogliere la perenne giovinezza dello Spirito, per vivere l’avventura esaltante dell’educare, che significa lasciarsi guidare verso ciò che viene dal profondo per andare sempre più in alto. La carità è sempre un’esperienza della perenne Pentecoste dello Spirito. La lotta alla mafia si fa ricostruendo il tessuto di legalità nei nostri territori Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi: "Convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio"!
Ad attaccare la Chiesa di avere abbassato la guardia nella lotta alla mafia è cosa molto semplice. Con il clima di rinnovato anticlericalismo e con il facile supporto di ideologie che vogliono la Chiesa ancorata nella difesa di ciò che è etichettato come tradizionalismo, è facile dire e scrivere pagine, fare titoli o dare alle stampe volumi in cui si denuncia l’arretratezza della Chiesa e degli uomini di Chiesa, papa vescovi e preti, dicendo di loro che impediscono il progresso sociale e culturale della gente. Anzi la stessa Chiesa, quando non fa dichiarazioni in cui si può leggere la parola mafia, allora si pensa di poterla tacciare di avere abbassato la guardia. E allora si sta a vedere se Benedetto XVI, venendo a Palermo, ha parlato di mafia, se l’ha fatto con la stessa “rabbia” con cui Giovanni Paolo II aveva scomunicato gli uomini della mafia nell’omelia della valle dei Templi ad Agrigento (9 maggio del 1993). Ormai, mi pare, che si vada per slogans, per stereotipi e clichès obsoleti che pure alcuni credono che possano ancora funzionare. Non basta dire che un prete di Palermo, di un quartiere di Palermo, che poi è sempre lo stesso, dopo essere stato minacciato dalla mafia, ha tentato di scendere a patti con i mafiosi del quartiere, dichiarando di essere disponibile a pagare il pizzo, per concludere che quel prete ed altri preti della città o dell’isola sono indifferenti al fenomeno mafioso, non sono disposti a denunciare o a lottare la stessa mafia. E non si può sempre assistere alla stessa litania dei pochi preti che ormai vengono considerati d’avanguardia da parte dei mass-media, perché sono disponibili a rilasciare dichiarazioni che riscuotono il compiacimento di certa stampa. Dobbiamo sapere fare delle analisi reali e dobbiamo sapere essere più credibili nel proporre ipotesi di interpretazione della realtà ecclesiale circa il suo rapporto con il fenomeno mafioso. Affermare che il cardinale Pappalardo è stato un cardinale antimafia per quella coraggiosa omelia rimasta celebre per la citazione di Tito Livio “dum Romae consulitur Sanguntum expugnatur”, pronunciata ai funerali di Carlo Alberto Dalla Chiesa il 5 settembre del 1982, mentre gli altri Vescovi di Palermo e di Sicilia non hanno saputo esprimere la stessa capacità di contrasto alla mafia, è nella logica delle considerazioni che rimangono in superficie e che non accettano di scavare in profondità. Sono mutate oggi le condizioni in cui si manifesta lo stesso fenomeno malavitoso, e sono diverse le persone che esprimono con altre modalità la stessa condanna. Di fronte alla mafia la strada del suo rifiuto è solo quella del non ritorno: la lotta alla mafia va dichiarata, ma va altresì concretizzata in gesti feriali che mirano a costruire un nuovo tessuto di legalità nei territori. Mi sento di dire che esiste nella nostra diocesi, in linea generale, un’attenzione al mondo La Caritas fa memoria della Santità di Giovanni Paolo II Rinnoviamo lo Spirito di Assisi e la lotta alla mafia Vogliamo fare festa per un papa dei nostri giorni che viene proclamato beato. La notizia della beatificazione di Giovanni Paolo II per il prossimo 1° maggio ha fatto il giro del mondo, suscitando pieno consenso non solo nella Chiesa cattolica, ma anche in tutto il mondo cristiano. Anche le altre fedi religiose e lo stesso mondo laico hanno espresso valutazioni favorevoli seppure con motivazioni diverse. L’annuncio di Benedetto XVI ha avuto una particolare risonanza nei continenti più poveri del mondo: il ministero di Giovanni Paolo II ha avuto una impronta decisamente itinerante; egli si è fatto pellegrino presso il cuore di tutte le persone più fragili e di tutte le nazioni più povere del pianeta. Ancora oggi conserva un fascino di forte attrazione spirituale e di indubbia provocazione culturale il suo “non abbiate paura! Aprite le porte a Cristo!”, pronunciato il 22 ottobre del 1978, a una settimana dall’annuncio della sua elezione a 264° papa della Chiesa Cattolica. Fin dall’inizio è stata chiara l’impostazione teologico-pastorale del suo Pontificato: essere il Vescovo di Roma, che sa stare in mezzo al popolo delle parrocchie della sua diocesi romana, ed essere nello stesso tempo il pastore della Chiesa universale che si mette in cammino per incontrare i popoli del mondo. Egli si è fatto primo banditore del Vangelo della giustizia e della carità, della vita e della pace, nello stile del pellegrino instancabile che chiede a tutti di promuovere i diritti umani e di favorire lo sviluppo integrale della persona umana e dei popoli della terra. Non è casuale che Benedetto XVI abbia scelto il 1° maggio per proclamare beato il suo predecessore Giovanni Paolo II, suo amico e collaboratore per lunghi anni. Non ci sfugge che la data scelta coincide con la festa del mondo del lavoro e, quest’anno, anche con la Domenica della Divina Misericordia (seconda domenica di Pasqua). Questa data, pertanto, oltre a ricordare il quinto anno della morte di Giovanni Paolo II, commemora il 20° anno dell’Enciclica Centesimus Annus, offerta alla Chiesa proprio il 1° maggio 1991, e l’11° anniversario della canonizzazione di Sr. Faustina Kovalska e della istituzione della Festa della Misericordia. La santità è dono di Dio alla creatura fatta a sua immagine e somiglianza, redenta dal Cristo il Santo di Dio, e nello stesso tempo è dono di Dio fatto alla Chiesa che vive nel mondo. La santità di Giovanni Paolo II appartiene agli uomini e alle donne del nostro tempo. Siamo testimoni di come il mondo di oggi, i popoli del nostro pianeta, i grandi e i piccoli della terra, i giovani e gli anziani, siano stati consapevoli della santità di quest’uomo, che hanno cominciato a venerare come santo fin dal giorno della sua morte. La sua vita è stata accompagnata da alcuni evidenti tratti della santità: innanzitutto dalla sofferenza fisica e spirituale che lo ha accompagnato durante la sua vita (Lettera apostolica Salvifici Doloris dell’11 febbraio 1984). Anche la persecuzione e la violenza si è abbattuta sulla sua persona fino al versamento del suo sangue (attentato in piazza S. Pietro del 13 maggio 1981); ciò è chiaro segno della sua partecipazione alla vita beata secondo l’Evangelo, che chiede il perdono per coloro che ci perseguitano (visita di Giovanni Paolo II in carcere ad Alì Agca nel Natale del 1983). Giovanni Paolo II è stato un instancabile difensore del valore della vita e della verità anche in contesti di gravi difficoltà sociali e storiche. Lo hanno sempre accompagnato l’impegno di liberazione da ogni schiavitù morale e spirituale e da ogni forma di dittatura ideologica e politica. Come papa “venuto di lontano”, papa polacco, egli era un buon conoscitore di quei regimi comunisti dell’Europa Centrale ed Orientale, che verranno rovesciati a partire dalla Polonia fino ad arrivare alla Germania dell’est, alla Cecoslovacchia, all’Ungheria, alla Bulgaria e alla Romania. La primavera del 1989, ebbe in Polonia l’esaltante esperienza del sindacato indipendente polacco Solidarnosc, guidata da Lech Walesa. Sempre nello stesso anno allo smantellamento della Cortina di ferro in Ungheria segue la caduta del Muro di Berlino, la caduta del regime sovietico, il crollo del muro di Berlino. “Certo la lotta, che ha portato ai cambiamenti dell’89, ha richiesto lucidità, moderazione, sofferenza e sacrifici; in un certo senso, essa è nata dalla preghiera, e sarebbe stata impensabile senza un’illimitata fiducia in Dio, Signore della storia, che ha nelle mani il cuore degli uomini” (Centesimus Annus, n. 25). Egli è stato Pastore animato da autentica passione per la Chiesa, esercitando il magistero petrino nei solchi del Concilio Vaticano II. Ciò è attestato dalle numerose encicliche, dalle celebrazioni degli Anni Santi, dai molti viaggi apostolici e dalle continue visite alle parrocchie romane. La Caritas infine vuole ricordare in modo particolare due eventi, ai quali intende ispirare il suo impegno per l’animazione della carità: la Giornata mondiale di preghiera per la pace con la convocazione degli uomini di tutte le religioni ad Assisi (27 ottobre 1986) e l’appello agli uomini di mafia perchè si convertano, in occasione della Visita Pastorale in Sicilia, nella Valle dei Templi ad Agrigento (9 maggio 1993). |